Era da tempo che non tornavo a scrivere su questo blog, e il motivo ha a che fare molto da vicino con l’argomento che desidero trattare oggi.
Potrei dire che questo sia intimamente legato alla volontà di avere qualcosa da dire, proporre insomma un contenuto che possa in qualche modo portare un contributo concreto a chi lo leggerà.
Ed ecco la connessione diretta con ciò di cui desidero scrivere in quest’occasione: la tendenza, qualsiasi sia l’attività in cui si è impegnati, a fare le cose semplicemente “per esserci”, ponendosi come ultimo obiettivo quello di attrarre l’attenzione su di sé per appagare una certa necessità di ottenere un riconoscimento, non per forza economico.
Mi spiego meglio: se il mio desiderio qui fosse stato quello di ritagliarmi il ruolo di content writer riconosciuto, mi sarei certamente speso per scrivere il maggior numero di contenuti possibili, col risultato di “forzare” gli argomenti e andando incontro al probabile rischio di abbassare l’originalità degli scritti.
Questa riflessione nasce da un passaggio che ho letto recentemente e che ho trovato davvero interessante per l’attualità che porta con sé. Si tratta di una vicenda raccontata nella Bibbia, quella relativa a Simone il Mago (Atti 8, 9-25).
Ne avete mai sentito parlare? Si racconta la storia di questo mago, Simone appunto, operatore di prodigi e detentore di grande popolarità in Samaria proprio per le eccezionali capacità sovrannaturali che possedeva. Quando però si imbatte in Filippo Evangelista, che compie miracoli e guarigioni mosso da una Fede autentica, crede in lui, si fa battezzare e letteralmente non si scolla più dal suo fianco. Questo atteggiamento, tuttavia, non nasce da un desiderio genuino, ma è orientato a cercare di carpire i “presunti segreti” di Filippo . Ciò trova piena conferma quando, giunti anche Pietro e Giovanni in Samaria, Simone chiede loro quanto dovesse pagare per ricevere lo Spirito Santo.
Soprassedendo alle considerazioni di carattere spirituale, trovo che la figura di Simone rifletta quella di tanti “fenomeni” che interpretano il loro “fare” come una somma di scorciatoie orientate a ottenere presunti vantaggi personali. Penso ai vari guru, motivatori, o sedicenti professionisti operanti nei più svariati ambiti, che hanno come unico interesse l’accesso rapido al riconoscimento pubblico.
Mi pare che, oggi più che mai, la legge del “tutto e subito” guidi l’interesse di un numero sempre crescente di persone, con l’effetto di instillare negli altri la convinzione che il potere personale sia il solo fine perseguibile, e con il conseguente abbassamento della qualità generale di ciò che viene diffuso nell’etere.

Non è semplice, perché in un certo senso si impone la necessità di mostrare fiducia in un fine più alto e non immediatamente tangibile, ma trovo che valga la pena dedicare un pensiero a quanto sia preferibile prodigarsi per quello che potremmo definire “bene comune”.
Non significa fare le cose senza un ritorno, quanto piuttosto operare con umiltà e pazienza pensando al reale contributo che il proprio lavoro può portare al prossimo. Senza scorciatoie, e imparando a riconoscere i più piccoli cambiamenti positivi derivanti da questo modo di pensare e agire.
Perché, credo, è lì che la vita vera si manifesta: nelle piccole cose, immense per la loro capacità di essere riconosciute attraverso l’esercizio della propria sensibilità.